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Vi era, centinaia di anni fa, nella Galassia Persea, un satellite del Sole chiamato Terra, dove vivevano molto popoli, sparsi su tutto il globo terracqueo, dai molti
costumi e da innumerevoli linguaggi. Ma ora il silenzio che proveniva da ogni parte di quel luogo aveva la terribile realta' della scomparsa di ogni segno umano di
vita. Troppe lotte fra popolo e popolo in nome della religione, del potere, troppo odio era passato, troppe notti di buio e di paura, notti di morte. La natura pareva
assistere passiva, subendo essa stessa devastazioni, ferite, inquinamenti: l'uomo l'aveva usata per ogni scopo, traendone qualsiasi cosa potesse usare.
Fu cosi' che essa comincio' a dare segnali violenti di morte: terribili uragani, interminabili piogge, intere cime innevate scivolate nelle valli, intere specie di
animali scomparse. Segni che avevano predetto altre sciagure, la siccita' di intere zone asiatiche, in altre intere parti di continenti sommerse dall'acqua degli
oceani, risaliti sulle terre alimentati dal lento sciogliersi dei ghiacciai, riscaldati da una abnorme temperatura. Spesse nubi color seppia infatti oscuravano ormai
da tempo la palla incandescente del sole, che stava esaurendo il suo calore in una espansione esplosiva che preludeva alla sua morte.
La terra era stata in parte protetta dall'atroce calura che stava annientando tutto il sistema solare, perche' uno spesso strato di nubi tossiche l'aveva avvolta gia'
dai primi anni della Grande Sventura, e esse avevano continuato ad ispessirsi, a farsi quasi vicine, tanto da non far riconoscere piu' il giorno dalla notte. Ma
nessuno voleva sapere se era la notte o il giorno: lentamente la razza umana, per le malattie, le guerre, la mancanza di cibo stava estinguendosi.

E contemporaneamente i ghiacciai dei poli si sgelarono, trasformandosi in maree non prevedibili che portarono gli oceani a ricoprire coste e spiagge, poi citta' di
mare e pianure, poi invasero i grandi altopiani, le foreste, madre terra sembrava aver finito il suo ciclo, legando la sua quasi totale scomparsa alle popolazioni
terrestri. Cosi' la vita, era cessata lentamente tra il caos e la paura. Si diceva che in Oriente una intera popolazione di una grande citta' si fosse lasciata
annegare immergendosi, mano nella mano, e per chilometri l'acqua avesse cullato i milioni di corpi. Si diceva si studiavano rimedi, si cercava di capire, si ipotizzava,
ma era troppo tardi, l'unica certezza sembrava essere la fine. L'uomo cosi' scomparve.
A mano a mano che i secoli seguivano ai secoli, il globo era divenuto per la maggior parte acqua. Oceani raggiunsero altri oceani, i fiumi si mischiarono con i mari,
laghi divennero mari. Le vaste distese di acqua ricoprirono cosi' sia le bellezze delle piu' ardite opere dell'uomo, sia le sempre piu' numerose tracce di crimini
dell'umanita'. Il mare, cosi' facendo, sembrava aver sconfitto tutto il Male che la razza umana aveva espresso nei secoli. L'azzurro cupo delle acque aveva fatto si
che nelle sue profondita' esso giacesse, immobile.
Cosi facendo, come una Madre che protegge il suo cucciolo dai nemici, aveva salvato i principi della vita, racchiusi nell'acqua da miliardi di anni, da quello
che l'uomo stava per intraprendere, incosciente e cieco, la Quarta Guerra Atomica, da cui anche l'intero globo non avrebbe avuto scampo, esplodendo in milioni di
frammenti.

Solo una forma di vita, l'albatros, da sempre legato al mare, fu quasi magicamente in grado di evolversi e di sopravvivere. Quanto fu tenace l'attaccamento alla vita
di questi animali lo dimostrarono gli estenuanti viaggi che essi facevano per recuperare ai loro piccoli nati una qualche forma di larva o di cibo, e la volonta' di
recuperare ogni piccolo nato anche se in difficolta', sembrando che la loro possibilita' di resistere fosse legata al loro numero, alla loro capacita' di stare in
gruppo, ad una forma di amore manifestata fra loro. Fu cosi' che il mare instauro' con l'albatros un patto di pace, una alleanza.
Nel mare essi trovarono cibo, alghe, resti della vita degli uomini che permisero a loro di costruire i nidi nelle poche terre ancora emerse, sopra le rovine di una
civilta' che aveva sfidato il quarto millennio.

Le larghe candide ali degli albatros planavano dolcemente sull'azzurro cupo delle acque, quasi ad accarezzare le onde. Ancora oggi essi, in un buio che non conosce
albe e tramonti, ma solo attimi di esplosioni di luce delle stelle che si disintegrano, si lanciano in voli sempre piu' arditi, con le grandi ali che mutandosi di
generazione in generazione, sono divenute ampie e leggere. E con quelle ali, in gruppo, a volte arrivano fin alla fine del mondo, la' dove una volta esisteva solo
freddo e ghiacci.
Gli albatros non hanno timore ne' del freddo ne' del ghiaccio perche' nulla di tutto cio' esiste piu'. Essi si posano in lunghe fila, guardando il cielo plumbeo, e
ad un cenno del capo stormo si innalzano in volo, a cerchio, sorvolando silenziosi il grande Mare Madre.
Racconto di: Francesca Levo Calvi 
Foto: Rete Internet
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